Dobbiamo smettere di mangiare carne e derivati per far fronte al cambiamento climatico?
Le evidenze scientifiche, così come riportate da tutti gli ultimi studi delle Nazioni Unite, della FAO e dell’IPCC – il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico -, indicano che la transizione verso una dieta a base vegetale deve essere parte integrante della lotta al cambiamento climatico.
La produzione di carne e derivati di origine animale ha infatti un enorme impatto a livello ambientale, sia per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria e delle falde acquifere, che per quanto riguarda l’utilizzo dei terreni. Di seguito abbiamo riassunto per voi l’impatto, di carne e derivati, legato a ciascuno di questi punti.
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Le emissioni di gas serra
Il sistema alimentare globale è responsabile del 30% delle emissioni di gas serra mondiali1. In ogni step della filiera alimentare si hanno emissioni negative, ma queste sono più che mai rilevanti quando si considerano gli allevamenti, sia quelli destinati al consumo di carne che per la produzione di derivati. Il 58% delle emissioni provenienti dalla produzione del cibo sono infatti legate proprio ai prodotti di origine animale. Di questo 58%, il 50% delle emissioni proviene dalla produzione bovina e ovina2.
Tra il 14,5% e il 18% del totale delle emissioni di gas serra nel mondo, a seconda dei parametri utilizzati per il calcolo, proviene dai soli allevamenti animali3. In ogni caso si tratta di una percentuale davvero rilevante, se si considera che tutti i mezzi di trasporto messi assieme impattano sul totale delle emissioni per il 13,5%4.
Le emissioni di gas serra derivano soprattutto dai ruminanti, come gli ovini e i bovini, per via della produzione di gas dovuta al loro particolare sistema digestivo. L’impronta ecologica, per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, del pollo, del pesce e del coniglio è inferiore alla carne rossa e a quella dei ruminanti in generale. Infatti, digerendo il cibo in modo diverso, le emissioni di metano di questi animali sono molto inferiori, ma tuttavia considerevolmente maggiori degli alimenti di origine vegetale5.
Un recente studio pubblicato su Science – Global food system emissions could preclude achieving the 1.5° and 2°C climate change targets6 – evidenzia quanto fondamentale sia far fronte alle emissioni derivanti dagli allevamenti animali, se si vuole davvero mitigare la crescente crisi climatica.
I ricercatori hanno evidenziato come queste emissioni, da sole, potrebbero probabilmente già portarci al di fuori dei limiti stabiliti dall’accordo di Parigi. Questo risultato non è però inevitabile. Già da subito, infatti, tutti noi possiamo adottare degli accorgimenti nel quotidiano, primi fra tutti l’eliminazione o la riduzione significativa del consumo di carne, e la drastica riduzione degli sprechi alimentari. Cambiamenti sono possibili e da realizzare anche a livello globale, sia per quanto riguarda il modo in cui coltiviamo e alleviamo, sia in relazione alla porzione di sprechi alimentari non imputabile al consumo domestico7.
L’uso dei terreni
Delle terre abitabili, il 37% è coperto da foreste, l’11% da arbusti e praterie, l’1% da acqua dolce e l’1% da aree edificate – che siano città, paesi, strade o qualsiasi altra infrastruttura costruita dall’uomo. Metà della superficie abitabile mondiale è invece destinata all’agricoltura. All’interno di questa metà, è presente una distribuzione del suolo estremamente diseguale, per quanto riguarda i terreni destinati al bestiame e l’agricoltura destinata a culture per il consumo umano8.
Se si considerano sia i pascoli che i terreni destinati a culture per l’alimentazione del bestiame, questi occupano ben il 77% del terreno coltivato nel mondo. Nonostante questo sproporzionato uso dei terreni per l’allevamento zootecnico, questo fornisce solamente il 18% delle calorie mondiali, e soltanto il 37% del totale delle proteine consumate9.
Si stima che se tutti scegliessimo una dieta a base vegetale, il consumo dei terreni si ridurrebbe del 75%. Avremmo così più terra per la coltivazione di cereali e piante destinate direttamente al consumo umano, e potremmo sottoporre a rimboschimento parte dei terreni inutilizzati, ripristinando così gli habitat naturali per molte specie a rischio estinzione, catturando al contempo CO2.
Secondo un recente report del WWF, “l’80% della deforestazione mondiale è dovuta alla necessità di fare posto ai pascoli per la produzione di carne, alle piantagioni di soia e olio di palma richiesti dai Paesi occidentali che consumano e sprecano sempre di più”10. In relazione a questa specifica destinazione d’uso, l’Unione Europea, attraverso i suoi consumi, è responsabile di circa il 10% di tutta la deforestazione mondiale.
420 milioni di ettari di terreni, molti dei quali in aree tropicali come quelle della foresta Amazzonica, sono stati deforestati negli ultimi 30 anni. Si tratta di una cifra enorme e che corrisponde circa all’intera superficie dell’Unione Europea. Ogni anno, circa 10 milioni di ettari vengono disboscati per poter convertire il terreno e renderlo adatto alla produzione agricola11.
Parte di questo disboscamento avviene in modo illegale e dando fuoco ai boschi e alle aree verdi. Molti degli incendi che hanno bruciato la foresta amazzonica negli ultimi anni sono collegati proprio alla filiera agroalimentare, e più specificatamente agli allevamenti. Dar fuoco alla foresta è il modo più rapido ed economico, per gli allevatori, di far fronte alla crescente domanda di carne e derivati. Bruciando la foresta, infatti, si fanno spazio alle coltivazioni che servono per sfamare gli allevamenti intensivi12. L’effetto è estremamente dannoso, dal momento che l’Amazzonia assorbe una vasta quantità di CO2 ed è riconosciuta, dagli scienziati, come vitale nel frenare i cambiamenti climatici13.
I consumi idrici e l’inquinamento delle falde acquifere
Il consumo di carne e derivati ha un duplice impatto sulle risorse idriche. Da una parte sono necessari grandi consumi di acqua per la loro produzione, dall’altra contribuiscono in larga misura all’inquinamento delle falde acquifere.
Per quanto riguarda il consumo idrico, per produrre 1 kg di carne bovina sono necessari dai 15.000 ai 20.000 litri di acqua, a seconda del metodo produttivo. Ottenere 1 litro di latte, invece, significa impiegare un po’ più di 1.000 litri di acqua, e per 1 kg di formaggio circa 10.000 litri di acqua. Per avere un termine di paragone, per produrre un piatto di spaghetti al pomodoro servono circa 170 litri di acqua14.
La sempre più crescente domanda di carne e prodotti di origine animale ha portato, negli anni, allo sviluppo di allevamenti intensivi che coinvolgono un gran numero di animali concentrati in aree relativamente piccole. Per il sostentamento degli animali si ricorre sempre più spesso all’utilizzo di mangimi che stanno esercitando una pressione sempre crescente sull’ambiente. Oltre ad avere un notevole impatto sulle emissioni di gas serra e sull’utilizzo dei terreni, come abbiamo già visto, hanno un impatto considerevole anche sulla qualità delle falde acquifere e dell’acqua in generale.
L’acqua che viene utilizzata per l’abbeveraggio e la gestione del bestiame, ritorna all’ambiente sotto forma di liquami e acque reflue. Il problema è che gli escrementi del bestiame contengono notevoli quantità di agenti patogeni, sostanze che riducono l’ossigeno, e nutrienti in eccesso per i terreni e per l’acqua. Quando si ha a che fare con gli allevamenti intensivi, questi escrementi contengono anche metalli pesanti, residui di farmaci somministrati al bestiame, ormoni e antibiotici15.
Data l’alta concentrazione del bestiame negli allevamenti intensivi, la produzione di liquami e degli altri rifiuti organici solitamente eccede la capacità di assorbimento del circostante ecosistema. La conseguenza è l’inquinamento dei terreni, delle acque superficiali, di quelle sotterrane, e del ciclo dell’acqua in generale16.
La stessa cosa accade anche in caso di acquacultura intensiva, quando i pesci sono nutriti con mangimi. Il materiale fecale, il mangime non consumato e i residui di farmaci – ad esempio antibiotici, fungicidi e agenti antivegetativi – finiscono infatti nel corpo idrico, prima della vasca dell’acquacultura e poi della falda acquifera. Questo va a disturbare il naturale ciclo dei nutrienti e provoca il degrado a valle della qualità dell’acqua17.
L’eccesso dei nutrienti che fluisce nell’acqua dagli allevamenti terrestri e dall’acquacultura, insieme ad altri fattori di stress, può causare l’eutrofizzazione dei laghi, dei bacini e delle riserve idriche, di stagni, e delle acque costiere. Questo porta alla fioritura di alghe che sopprimono le altre piante e gli animali acquatici18, danneggiando così anche ecosistemi lontani dagli allevamenti.
Cambiare è possibile e necessario
Secondo gli scienziati19, tagliando il consumo di carne, con l’attuale produzione agricola si potrebbero sfamare 10 miliardi di persone, e al contempo, se i terreni venissero utilizzati in modo più efficiente – per esempio attraverso l’agroforestazione -, si potrebbe anche assorbire la CO2 emessa dalle attività umane.
Un consumo ridotto di carne significa minori emissioni derivanti dal bestiame e dal fertilizzante necessario per sostenere la produzione zootecnica. Al contempo, si avrebbe l’opportunità di rimboschire terreni che gli agricoltori avrebbero altrimenti utilizzato per il pascolo.
Ripensare la dieta umana a livello mondiale potrebbe portare, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, a riduzioni delle emissioni fino a 8 giga-tonnellate all’anno, pari a più di un intero anno di emissioni negli Stati Uniti20.
Contemporaneamente, si diminuirebbe anche la minaccia alla biodiversità che è adesso in atto. 24.000 delle 28.000 specie attualmente a rischio sono infatti minacciate anche dall’espansione dell’agricoltura e dell’acquacultura, e più specificatamente del diffondersi delle monoculture e dell’agricoltura intensiva destinata al consumo animale, e dall’inquinamento che deriva dagli allevamenti21.
La diversificazione nel sistema alimentare, attraverso l’implementazione di sistemi di produzione integrati, e il cambiamento su larga scala delle diete, può ridurre i rischi derivanti dal cambiamento climatico e permettere di sfamare più persone22.
La transizione verso diete a bassa emissione di gas serra, come le diete equilibrate a base di alimenti di origine vegetale, basate sul consumo di cerali, legumi, frutta, verdura, noci e semi, deve essere parte integrante della lotta al cambiamento climatico.
Certo, la transizione della dieta può essere influenzata da pratiche di produzione locali, da barriere tecniche e finanziarie, e da quelli che sono i mezzi di sussistenza a disposizione, nonché dalle abitudini culturali e religiose; ma in Italia, per noi che è possibile, perché non spostarsi verso un’alimentazione a base vegetale?
Premesso che non vogliamo dirvi come mangiare, sarebbe davvero vantaggioso per il clima se, noi che abitiamo in Paesi ricchi, riducessimo al minimo il consumo di carne e derivati, e se la politica creasse incentivi adeguati a tal fine. Cambiamenti in tal direzione devono infatti avvenire anche a livello di direttive governative ma, nel frattempo, siamo noi a dover cambiare, pensando a cosa mettiamo nel nostro piatto e a quale impatto questo abbia sull’ambiente che ci circonda.
Fonti
Fonti:
1) Lynch J., Global food system emissions alone threaten warming beyond 1.5°C – but we can act now to stop it, 2020. Reperibile su: https://theconversation.com/global-food-system-emissions-alone-threaten-warming-beyond-1-5-c-but-we-can-act-now-to-stop-it-149312
2) Poore J., Nemecek T., Reducing food’s environmental impacts through producers and consumers, 2018. Science, 360(6392), 987-992. DOI: 10.1126/science.aaq0216
3) Gerber P.J., Steinfeld H., Henderson B., Mottet A., Opio C., Dijkman J., Falcucci A, Tempio G., Tackling climate change through livestock – A global assessment of emissions and mitigation opportunities, 2013. Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), Rome.
4) EPA, Global Greenhouse Gas Emissions Data. Reperibile su: https://www.epa.gov/ghgemissions/global-greenhouse-gas-emissions-data
IPCC, Climate Change 2014 – Mitigation of Climate Change, 2014. Fifth Assessment Report – Working Group III from Intergovernmental Panel on Climate Change.
FAO & LEAD, Livestock’s long shadow – Environmental issues and options, 2006. ISBN 978-92-5-10571-7
5) Carbon brief staff, Do we need to stop eating meat and dairy to tackle climate change?, 2020. Webinar. Reperibile su:
https://www.carbonbrief.org/webinar-do-we-need-to-stop-eating-meat-and-dairy-to-tackle-climate-change
6) Clark M.A., Domingo N.G.G., Colgan K., Thakrar S.K., Tilman D., Lynch J., Azevedo I., Hill J.D., Global food system emissions could preclude achieving the 1.5° and 2°C climate change targets, 2020. In: Science 06 Nov 2020, Vol. 370, Issue 6517, pp. 705-708. DOI: 10.1126/science.aba7357
7)Ibidem.
8) Questi dati provengono dalle statistiche della FAO e sono reperibili su: http://www.fao.org/faostat/en/#home
9) Poore J., Nemecek T., Reducing food’s environmental impacts through producers and consumers, 2018. Science, 360(6392), 987-992. DOI: 10.1126/science.aaq0216
IPCC, Climate Change and Land: an IPCC special report on climate change, desertification, land degradation, sustainable land management, food security, and greenhouse gas fluxes in terrestrial ecosystems, 2019. Shukla P.R., Skea J., Calvo Buendia E., Masson-Delmotte V., Pörtner H.O., Roberts D.C., Zhai P., Slade R., Connors S., van Diemen R., Ferrat M., Haughey E., Luz S., Neogi S., Pathak M., Petzold J., Portugal Pereira J., Vyas P., Huntley E., Kissick K., Belkacemi M., Malley J., (eds.). In press.
10) WWF, Quante foreste avete mangiato, usato o indossato oggi?, 2020. WWF Italia, Roma.
11) Ibidem.
12) Pike L., Why we need policies to reduce meat consumption now, 2020. Reperibile su: https://www.vox.com/21562639/climate-change-plant-based-diets-science-meat-dairy
Spring J., Exclusive: Brazil Amazon fires likely worst in 10 years, August data incomplete, government researcher says, 2020. Reperibile su: https://www.reuters.com/article/us-brazil-environment-fires-exclusive/exclusive-brazil-amazon-fires-likely-worst-in-10-years-august-data-incomplete-government-researcher-says-idUSKBN25T349
Pike L., What wildfires in Brazil, Siberia, and the US West have in common, 2020. Reperibile su: https://www.vox.com/21441711/2020-california-wildfires-brazil-amazon-pantanal-siberia-climate-change
13) Spring J., Exclusive: Brazil Amazon fires likely worst in 10 years, August data incomplete, government researcher says, 2020. Reperibile su: https://www.reuters.com/article/us-brazil-environment-fires-exclusive/exclusive-brazil-amazon-fires-likely-worst-in-10-years-august-data-incomplete-government-researcher-says-idUSKBN25T349
14) Gleick P., Cohen M., Cooley H., Donnelly K., Fulton J., Ha M.L., Morrison J., Phurisamban R., Rippman H., Woodward S., The World’s Water, 2018. Volume 9.
Mekonnen M.M., Hoekstra A.Y., The green, blue and grey water footprint of farm animals and animal products, 2010. Value of Water Research Report Series No.48, UNESCO-IHE.
Pimental D., Berger B., Filiberto D., Newton M., Wolfe B., Karabinakis E., Clark S., Poon E., Abbett E., Nandagopal S., Water Resources: Agricultural and Environmental Issues, 2004. BioScience, Volume 54, Issue 10, October 2004, Pages 909–918. DOI: https://doi.org/10.1641/0006-3568(2004)054[0909:WRAAEI]2.0.CO;2
15) FAO, IWMI, Water pollution from agriculture: a global review – Executive summary, 2017. Pubblicato da Food and Agriculture Organization of the United Nations, Rome, 2017 e International Water Management Institute per conto del progetto di ricerca Water Land and Ecosystems, Colombo, 2017.
16) Ibidem.
17) Ibidem.
18) Ibidem.
19) IPCC, Climate Change and Land: an IPCC special report on climate change, desertification, land degradation, sustainable land management, food security, and greenhouse gas fluxes in terrestrial ecosystems, 2019. Shukla P.R., Skea J., Calvo Buendia E., Masson-Delmotte V., Pörtner H.O., Roberts D.C., Zhai P., Slade R., Connors S., van Diemen R., Ferrat M., Haughey E., Luz S., Neogi S., Pathak M., Petzold J., Portugal Pereira J., Vyas P., Huntley E., Kissick K., Belkacemi M., Malley J., (eds.). In press.
20) Ibidem.
21) IUCN, Summary Statistics – Red List. Reperibile su: https://www.iucnredlist.org/resources/summary-statistics#Summary%20Tables
22) Godfray H.C.J., Beddington J.R., Crute I.R., Haddad L., Lawrence D., Muir J.F., Pretty J., Robinson S., Thomas S:M., Toulmin C., Food security: The challenge of feeding 9 billion people, 2010. Science 327, 812–818. DOI:10.1126/science.1185383pmid:20110467
MSc in International Security Studies
Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna e Università di Trento
Specializzata in cambiamenti climatici, sviluppo sostenibile e cooperazione allo sviluppo.